5 film di Peter Greenaway che devi assolutamente vedere

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Ho iniziato come pittore, mi interessavano molto i metodi e le classificazioni. Per questo ho usato spesso sistemi diversi dalla narrazione per organizzare il materiale cinematografico. Utilizzo le classificazioni numeriche, il simbolismo e la codificazione dei colori, e sicuramente anche i sistemi alfabetici.

Oggi voglio inaugurare questa nuova sezione del blog parlando di un regista che da piccolo si divertiva a collezionare insetti e a classificarli ordinatamente chiudendoli in delle scatole, rigorosamente infilzati con degli spilli. Voglio parlare di un regista che pur nascendo come pittore, nonostante i suoi volessero diventasse avvocato, un giorno di pioggia caso vuole che entri in un cinema dove si sta proiettando Il settimo sigillo di Bergman. E proprio in quel giorno cambia tutto. L’ossessione per la partita a scacchi con la morte dilaga immediatamente: per cinque giorni di fila, due volte al giorno, Greenaway torna a vedere lo stesso film. Si iscrive poi a un corso sul cinema europeo e gira il suo primo film in 8 mm a soli vent’anni. Quel film aveva come soggetto la morte o meglio la sepoltura e tante altri elementi piuttosto macabri. The Death of Sentiment girato nel 1962 riprende infatti vari simboli e ossessioni che poi lo stesso Greenaway avrebbe approfondito in tutta la sua successiva opera: decomposizione dei corpi, morte, architettura, sesso, religione, pittura, luci, ombre, parole, catalogazione, simboli e numeri il tutto condito da un’ironia e da un senso dell’umorismo piuttosto nero che rendono lo stile tipicamente citazionale dei suoi film, divertente e di certo più fruibile del pensato.

Si tratta di ingraziarsi inizialmente la simpatia del pubblico per poi portarlo verso un tema grave. Un film deve essere divertente e spero che, per quanto mi riguarda, il divertimento funzioni a più livelli: intellettuale, sensuale e soprattutto visivo.

Del resto, a detta del regista, ci sono solo esclusivamente due grandi tematiche di sottofondo: il sesso e la morte. Il cinema così non può che porsi al centro e farsi promotore di tutte le ossessioni e perversità umane, ironizzando su quei tabù e quelle finzioni che da sempre hanno relegato le nostre perversità in secondo piano cercando di addomesticarle in ogni modo. Ma in fondo c’è ben poco di scandaloso nei film del regista, semplicemente ci mostrano quello che nelle profondità, è la curiosità e la perversità di ciascuno.

Ecco quindi i 5 film di Peter Greenaway che devi assolutamente vedere se vuoi avvicinarti alla poetica e al lavoro di uno dei più grandi registi degli ultimi 40 anni. Partiamo dal quinto…


5. Giochi nell’acqua (Calcolo)

giochi nell'acqua - peter greenaway

Iniziamo con la commedia nera Drowing by numbers che mette in luce tutto quel particolare gusto di Greenaway per il gioco ironico e surreale che, se associato alla morte, assume quelle tipiche sfumature macabre tanto care al regista inglese. Ci sono tre donne di generazioni diverse (nonna, figlia e nipote) tutte e tre si chiamano Cissie Colpitts e sono nuotatrici o ex nuotatrici. Tutte e tre poi eliminano per insofferenza o per noia i propri mediocri mariti con la complicità di Madgett: un medico legale, loro amico e corteggiatore che le aiuta a coprire i crimini, facendo passare quelle morti (tutte rigorosamente acquatiche) per accidentali. In questo film Greenaway gioca coi numeri, tutti contano (fino a cento, anche perché poi le centinaia si equivalgono quindi non avrebbe più senso farlo). Anche il titolo del film Drowning by numbers fa riferimento alla tecnica di colorazione in cui il disegno, scomposto in zone numerate, viene colorato con tinte abbinate a una cifra.

Ma il calcolo è solo uno dei temi portanti, l’altro è il gioco, la passione sfrenata che accomuna Madgett e Smut. Le regole sono decise dagli stessi, ma mentre Madgett, da adulto, riesce a distinguere quelle che sono le regole e la loro messa in pratica, Smut, al contrario ancora immaturo, rimane vittima del suo stesso ultimo gioco:

Cadere con una corda al collo da un punto sufficientemente alto perché la caduta provochi soffocamento. Scopo del gioco è punire tutti quelli che hanno causato gravi infelicità per mezzo delle loro azioni. Questo gioco è il migliore di tutti, perché il vincitore è anche il perdente e la decisione del giudice è sempre inappellabile.

Le tre Cissie Colpitts in Giochi nell’acqua, sono l’unico personaggio che invita a interrogarsi sul ruolo del femminile nel mondo contemporaneo, un mondo dominato da regole maschili (quelle dei giochi inventati da Madgett e Smut) che le donne sono ormai pronte a trasgredire. Ma l’idea del giocare è anche collegata alla recitazione dell’attore e soprattutto a quei rituali, convenzioni, ortodossie di cui da sempre il popolo inglese sembra avere il primato nel ridurre le relazioni umane a un sistema di regole e approcci codificati in un manuale di istruzioni. Di certo Greenaway non può che ridere ironicamente di tutto questo inteso non tanto quale sintomo di civilizzazione, quanto piuttosto di stitichezza emotiva automatizzata.

Il film, che ricevette il premio speciale della giuria a Cannes, risultò così ricco di riferimenti e di citazioni che il regista sentì la necessità di renderli espliciti in un libro e in un documentario intitolato “Paura di annegare” testimonianza sull’origine e sulla lavorazione del film nonché esplicazione dei vari livelli di lettura possibili.

Un film che devi assolutamente vedere se ti piacciono il Caravaggio, Las Meninas di Velazquez, Brueghel Il Vecchio, i numeri, gli insetti, il sesso, i cadaveri, la solidarietà femminile, le donne, gli uomini, sei tendente alla misoginia e al femminismo. Ma poi soprattutto guardalo se pensi che Wes Anderson sia un genio assoluto della regia con delle idee originalisssssssime.


4. Lo Zoo di Venere (Doppio)

Lo Zoo di Venere - Peter Greenaway

Dal filmato di un topo in decomposizione, dalle scene di un documentario girato in stop motion dai fratelli gemelli omozigoti Quay e da una scimmia con una gamba sola nasce l’idea di Peter Greenaway per A zed and two noughts. Ossessionati dalla creazione di film in time-lapse sulla decomposizione, due fratelli gemelli biologi vedono aggravarsi questa particolare patologia ossessiva nei confronti del disfacimento dei corpi, quando, in uno strano incidente stradale con un cigno bianco, perdono entrambe le mogli e intraprendono un’insolita relazione sessuale con l’unica sopravvissuta al disastro: una donna a cui viene amputata una gamba.

Lo zoo di Venere è il film forse meno riuscito e più frammentario del regista, ma in fondo forse quello che riunisce in sé nel miglior modo possibile la vera essenza dell’arte (in tutti i suoi mezzi comunicativi): un continuo interrogarsi in maniera compulsiva per giungere poi sino all’amara verità che in fondo l’avere in mano delle risposte certe è praticamente impossibile. In un gioco ironico e pieno zeppo di nero umorismo inglese, Greenaway finisce per mettere in mostra una vera e propria enciclopedia di domande in sospeso, riprendendo molti tra i punti di vista e i pensieri di quelli che sono sempre stati i suoi prediletti insegnanti del passato: Vermeer per l’architettura dello spazio e le luci pittoriche, Attenborough quale illustre inventore del documentario naturalistico e della voce fuori campo, De Sade per la poetica pornografica ossessionata dalla enumerazione e dalla putredine, Borges per le sue fantasie di animali immaginari e di labirinti fatti di strane coincidenze e concentrici giochi sull’infinità del tempo.

Per far sì che la vita sbocci è necessaria la morte, questo è in fondo l’assioma su cui regge l’intero film. C’è armonia nel corpo, ma la stessa non viene distrutta nel momento in cui esso si decompone. Del resto per decomporsi un corpo necessita di nove mesi: strane le coincidenze tra la nascita e la morte.

Un film che devi assolutamente vedere se sei ossessionato dal corpo, l’asimmetria ti infastidisce, pensi che vedere scene di animali in decomposizione possa rallegrarti la giornata e hai sempre desiderato vivere in un quadro di Vermeer.


3. The Baby of Mâcon (Finzioni)

The Baby of Macon - Peter Greenaway

Questo film è una critica talmente dura e irreversibile alle fondamenta della religione cristiana e, più in generale, ad ogni sorta di potere politico che quando uscì non fu nemmeno distribuito in H video (nemmeno negli Stati Uniti). E’ uno dei film più appassionati e sentiti di Greenaway e questo naturalmente non lo rende il più fruibile. C’è un’alta componente di violenza, soprattutto verso i bambini e una scena di stupro prolungato (che poi in verità si deve solo immaginare perché visivamente è taciuta sullo schermo). La visione generale è irriverente, grottesca, raccapricciante e inficia l’autorevolezza e la santità della Chiesa come istituzione politica. Greenaway incolpa qui la nozione stessa della religione dottrinale, arrivando a mostrarcela in tutto il suo essere inadeguata, sbagliata e soprattutto pericolosa perché autrice di false certezze. Il tema dello sfruttamento dei minori in The Baby of Macon è preso solo come spunto di partenza, viene infatti subito superato per affrontare quella che invece vuole essere la vera provocazione: la strumentalizzazione del corpo di Cristo, lo stesso Greenaway dichiarò infatti:

“Il caso più eclatante di sfruttamento dei minori nella storia della nostra cultura è la nascita di Cristo”

La seconda chiave di lettura del film è quella che affronta il confondersi tra realtà e rappresentazione (la storia di Macon, ambientata nel 15° secolo è in realtà una rappresentazione scenica messa in atto al cospetto dell’illustre Cosimo III de’ Medici, quindi nel 17° secolo…e a queste due epoche si aggiunge naturalmente quella del film, la nostra). Greenaway riesce quindi a disorientare ulteriormente lo spettatore che uscendo dalla visione filmica dubita di essere lui stesso un attore inconsapevole in un mondo di ipocrite istituzioni, come quella religiosa, pieno di false illusioni.  La scelta della stessa epoca barocca, del resto, a detta dello stesso regista, è mirata a rievocare uno spazio e tempo in cui, utilizzando escamotage architettonici e di luce, la fede mirava a cancellare il dubbio degli uomini offrendo false certezze. Così come la Chiesa anche il Cinema sospende il dubbio nello spettatore, così Greenaway tenta di riportare in vita il dubbio socratico mettendo in scena la finzione in tutte le sue sfaccettature.

Un film che devi assolutamente vedere se il tuo ateismo non ti convince abbastanza e vuoi rincarare la dose, se schifi in modo totale il consumismo contemporaneo e il tuo spirito è profondamente critico e incazzoso e ti serve un film che stimoli oltremodo la tua voglia di urlare al mondo che è tutto una grandissima stronzata.


2. Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e l’Amante (Cannibalismo)

the - cook - the - thief - his wife - and - her lover

Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante è il film più commercialmente riuscito di Greenaway, dove azione, musica, fotografia, sceneggiatura, poetica sono miscelati in una composizione filmica impeccabile e sublime. Un Masque inglese, una sintesi di dramma in cui versi, danza, musica si uniscono per celebrare la morte dell’opera ma anche la sua rinascita.

Per farla breve ci troviamo di fronte a un personaggio pomposo, saccente, violento e irritante a dismisura: un tale ladro chiamato Albert Spica. Il film è quasi interamente girato all’interno del ristorante di cui Spica, assieme al cuoco Richard, è il comproprietario. Ogni sera si reca lì in compagnia dei suoi scagnozzi e di sua moglie Georgina, costretta a subire, anche se solo apparentemente in modo passivo, le sue angherie mentre lui si ingozza voracemente insieme ai suoi bulimici scagnozzi. Una sera Georgina nota un uomo, seduto solo a un tavolo del ristorante, che consuma il suo frugale pasto in compagnia di un libro. Quell’uomo è un collezionista, un intellettuale, un libraio che ha fatto della sua dimora, un magazzino di antichi e nuovi testi. Tra i due comincia una relazione extraconiugale grazie anche alla complicità del cuoco, che prende così l’occasione per vendicarsi di tutti i torti subiti da Spica.

La scena finale del film è qualcosa di inimmaginabile e scioccante, non fosse che non posso, né voglio rovinarvela.

The cook, the thief, his wife and her lover è un connubio perfetto di sesso, violenza, amore, odio, passione, morte, orrore e vendetta che non lascia di sicuro indifferenti anche gli animi meno sensibili. Le note minimaliste e a tratti sincopatiche di Michael Nyman enfatizzano sinistramente ogni singola inquadratura. La struttura narrativa del film poggia su una prima scansione in tre atti più prologo ed epilogo, 9 menù giornalieri e un codice cromatico che si rifà ai 7 colori di Newton (Blu il Parcheggio/Verdi le Cucine/Rosso Sangue il Salone/ Bianchi i Bagni/ Giallo l’Ospedale/Marrone il Deposito dei Libri/ e infine Nero – il colore dei cibi più costosi come il tartufo) .

Un film che devi assolutamente vedere se il cibo ti ossessiona, pensi che le relazioni sentimentali siano in fondo solo un modo qualunque per ammazzare il tempo e che però poi si finisce sempre con l’ammazzare qualcuno, ma soprattutto se ti piacciono tutti i generi di film ma non hai il tempo di vederli e ne vuoi uno che sappia unirli tutti in sole 2 ore.


1. Il Ventre dell’Architetto (Paranoia)

Il ventre dell'architetto - Peter Greenaway

The Belly of an Architect parla di un “semplice” architetto, un certo Kracklite, la cui vita quotidiana ruota attorno a un’ossessione folle e totalizzante che lo induce a credere di poter organizzare, progettare e controllare nei minimi dettagli l’universalità dell’esistenza, ma che inevitabilmente fallisce. Kracklite viene convocato a Roma per organizzare la mostra di un illustre suo predecessore: Etienne Louise Boullée, architetto utopico rivoluzionario del 700 (che progettò diversi capolavori grandiosi, ma proprio per questo impossibili da costruirsi, come per intenderci il megalomane cenotafio di Newton, giusto un piccolo progettino da nulla piuttosto tondo…). Proprio attorno al cerchio, la forma geometrica prediletta da Boullée ma anche dallo stesso Krackile ossessionato dalla rotondità del suo ventre, ruota tutto il racconto, ambientato tra l’altro nella perfezione architettonica della città di Roma, essa stessa un ventre irraggiungibile e immenso per aver ingerito e metabolizzato nei secoli, tutto ciò che proveniva dalle culture straniere.

Anche qui Greenaway non manca di suddividere classificando il tutto in 7 capitoli, le 7 cartoline che Kracklite invia idealmente a Boullée. Ed è proprio l’architettura del progettista visionario che muove la critica di sfondo politico del film: progetti grandiosi, simili a incubi di fantascienza che ispirarono poi l’aspetto delle più grandi capitali totalitarie. Così Roma che a inizio film viene mostrata dall’occhio del regista nelle vesti di grandiosa, irraggiungibile, monumentale e celebrativa; alla fine mostrerà il suo lato ombra rivelando la sua natura carnivora e mortuaria in tutto il suo mai tramontato fascismo. E il povero Kracklite che inizialmente sembrava finalmente approdato nel paese dei sogni, della memoria, del romanticismo, per lasciarsi alle spalle una Chicago capitale del denaro e del sangue, si ritrova in un’Italia emblema invece dell’intrigo passionale e letale. Kracklite diventerà allora da intellettuale pieno di sé qual’era partito, sempre più piccolo, sempre più miserabile, più fallito, tendente all’ ipocondria e al suicidio.

Un film che devi assolutamente vedere se sei paranoico, ami profondamente l’architettura utopica del 700, ti piacciono le cose tonde e pensi di essere una persona ossessivo-compulsiva tendente al suicidio che però preferisce farsi mille seghe mentali e lamentarsi piuttosto che buttarsi direttamente dal sesto piano di un palazzo.


Questo articolo è correlato al video che inaugura anche il canale di Quel cinema invisibile su You Tube, un tributo a Peter Greenaway:

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